Il grande mosaico esistenziale di Cat Power

All'ufficio anagrafe di Atlanta, la città della Georgia dove è nata il 21 gennaio 1972, è registrata come Charlyn Marie Marshall. Chi segue le cose della musica la conosce come Cat Power. Cantautrice folk rock di ormai lunga militanza, il suo primo album, "Dear sir", risale infatti al 1996, e di buona soddisfazione, a quel primo episodio ne sono seguiti altri dieci. Il suo ultimo lavoro, "Covers", è piuttosto recente, essendo uscito giusto giusto un anno fa. Il consiglio è quello di riascoltarlo oggi nel giorno del compleanno di Charlyn e, già che siamo in ballo, magari leggiamo la recensione del disco che scrisse per noi Marco Di Milia.
“This album is dedicated to those dedicated to the movement”, recitano un po’ enigmatiche le note di copertina. E di certo un moto di passione e di impegno non è mai mancato nelle corde di Cat Power, perfino quando c’è da catturare l’essenza più profonda di brani altrui. Una capacità messa una volta di più in evidenza in un lavoro esplicito fin dal titolo, “Covers”.
Il nuovo disco della musicista di Atlanta segue in questo modo altri due album di personali rivisitazioni, “The Covers Record” e “Jukebox”, usciti rispettivamente nel 2000 e nel 2008, con cui ha affinato la sua capacità di spaziare tra canzoni, epoche e generi musicali. Nel mettere in mostra le sfaccettature del proprio cuore inquieto Chan Marshall, alias Cat Power, si muove così zigzagando su dodici cover, alternando presente e passato in mezzo a memorie private, stati d’animo e una forza affettiva che da queste tracce emerge in maniera del tutto distinta.
Il disco sembra quindi proseguire un viaggio nei confini aperti del folk rock iniziato con il precedente “Wanderer”, pubblicato ormai quasi quattro anni fa e che ora si rinnova non solo tramite un canzoniere in grado di saltare liberamente tra stili, ma anche attraverso un passaporto che invita al movimento, in bella mostra nel taschino della camicia a tutto campo in copertina. Il cammino di Chan si compone perciò dei tanti frammenti sparsi di una vita piena di saliscendi emotivi, da quelli adolescenziali di “It wasn’t god who made honky tonk angels” della cantante country Kitty Wells e a quelli ben più tribolanti rievocati da “Here comes a regular” dei Replacements. Nel mezzo, non mancano una varietà di sentimenti, espressi tanto con un omaggio all’amica Lana Del Rey in “White Mustang”, quanto con una celebrazione dei propri miti, come Iggy Pop nel blues spigoloso di “Endless sea” e Bob Seger nella sua “Against the wind”.
Ancora, Chan guarda pure al passato, cercando finalmente di dare una possibilità alla speranza dopo tanto dolore vissuto in prima persona. La sua “Hate” da “The Greatest” si trasforma perciò, sedici anni più tardi, in una inedita “Unhate”, aprendo le porte a una distensione che prima sembrava del tutto irrealizzabile.
Nell’attraversare i chiaroscuri della sua anima complicata, Cat preferisce tenersi sempre su un registro pacato, che non disdegna né le atmosfere acustiche, le ritmiche jazzate e i tocchi di swing e né tantomeno di nascondere le tante tensioni vissute sulla propria pelle. Si passa quasi senza interruzioni dai toni sussurrati di “These days” di Jackson Browne - e portata al successo per la prima volta da Nico nel 1967 -, a una “I had a dream Joe” di Nick Cave in cui le suggestioni non mancano di farsi inesorabilmente più cupe, al pari delle liriche fosche di una altrettanto oscura "Pa pa power" dei Dead Man's Bones, progetto-divertissemtent dell'attore Ryan Gosling.
Dalle ferite emotive portate allo scoperto in apertura con una “Bad Religion” di Frank Ocean trasfigurata in una sorta di supplica soft rock fino alla dolcezza del ricordo della nonna sulle note delicate e sofferte della conclusiva “I’ll be seeing You” di Billie Holiday, ciò che unisce queste tracce è l’abilità della musicista di scovarne ogni possibile sfumatura nascosta di malinconia e insieme di sensualità. Chan Marshall riesce così in “Covers” a spingersi ancora oltre gli stili, andando a evocare, con uno spirito in ultimo apparentemente acquietato, malie, angosce, tormenti e redenzioni che sembrano mescolarsi, fino a comporre con queste rivisitazioni di vecchi e nuovi “classici” un unico grande mosaico esistenziale. Sfuggente e vulnerabile, ma anche decisamente determinato. Proprio come l’animo sempre in movimento di Cat Power.